Napoli Oggi – Mercoledì 3 Aprile 1980 di Gino Grassi

Giannetto Bravi è un’artista di rara raffinatezza intellettuale ma non gli co-noscevo la sottigliezza che mostra nell’ultima operazione, realizzata con la “complicità” (freudianamente parlando) di alcuni critici che vanno per la maggiore (Pierre Restany, Lea Vergine, Filiberto Menna, Gillo Dorfles, Achille Bonito Oliva e Antonio Del Guercio). I quali si sono prestati in effige all’azione demistificatoria dell’artista napoletano, trapiantato da qualche anno a Milano. I critici in questione hanno offerto la propria immagine a Bravi accompagnandola da una presunta rivelazione su di un loro “pallino” segreto.
Ma il segreto che si nasconde in fondo a ciascuno di noi è veramente svelato o rimane un’ultima maschera a celare il nostro vero volto? Questo è l’affascinante puzzle che il pittore lascia (ironicamente) all’osservazione dello spettatore che si è recato allo Studio Marconi di Milano per visionare la più recente investigazione del geniale napoletano, meglio noto per le sue “valige” di metallo, per le sue cartoline sull’Operazione Vesuvio e per le sue successive variazioni epistolari “turistiche”. Giustamente, Filiberto Menna, in una specie di presentazione alla (si fa per dire) mostra milanese di Bravi e in risposta alla lettera “come storia di un ritratto autoritratto” con la quale il pittore chiedeva al critico un intervento diretto sulla foto (come aveva già fatto per gli altri), ha sostenuto la tesi della impossibilità di denudamento psicologico. Ciascuno dei critici interpellati ha (a suo modo) allargato l’equivoco del ritratto (che è sempre una immagine travestita di noi stessi) con una aggiunta personalissima. Il solo Argan non si è voluto prestare all’immagine di Bravi, adducendo pretesti di pudore. Ecco la sua risposta: “Gentile Bravi, conoscevo già il suo lavoro e mi ha fatto piacere di averne notizie fresche, con le parole di amici rimpianti come Lea Vergine e Pierre Restany. Quanto alla mia fotografia, Bravi, la lasci perdere e mi capisca: in questo momento sono troppo lontano dalle cose di cui mi son vissuto e “poi ch’io non spero di tornar giammai”, preferisco essere dimenticato. Il suo G.C. Argan.” Polemica con gli altri critici o con l’artista? Rimarrà un mistero. Comunque mi pare che le testimonianze autobiografiche dei critici interpellati siano abbastanza sincere. La più originale? Mi pare quella di Lea Vergine.