Corriere della Sera -
Mercoledì 1 Marzo 1995 di Giuliana Scimé Operazione tipica della narrative-art, una delle linee di ricerca dell’arte concettuale, è la rielaborazione di vecchie fotografie per raccontare storie di quotidiano accadimento. Storie, quindi, che potrebbero appartenere a chiunque nella semplice banalità di esistenze che poco o nulla differiscono da tutte le altre. Giannetto Bravi, che da oltre vent’anni frequenta il concettualismo con interventi di diverso interesse, nella mostra “La memoria riappropriata” compie un viaggio tipico della narrative-art. La materia scaturisce dagli album e dalle immagini che decorano le pareti di casa, una duplice rivisitazione che da ingiallite fotografie d’epoca si appunta su quell’iconografia che è integrante dell’ambiente domestico. I personaggi degli album (i compagni di classe nelle fotografie “scolastiche”) sono irrecuperabili nella loro identità, chi poteva riconoscerli, raccontarne le vicende e metterli in relazione con gli altri membri del nucleo familiare, è ormai scomparso. Non sono fantasmi perché la fotografia ne ha fermato per sempre la realtà dell’esistenza e, nel contempo, sono esseri ambigui che pur appartenendo alla storia individuale sono degli estranei, mentre, nelle fotografie più recenti, i momenti affiorano dalla memoria e i ricordi arricchiscono quelle istantanee che, all’epoca, segnavano soltanto un insignificante frammento di vita. Giannetto Bravi seleziona queste immagini e le riproduce in grande formato su tela emulsionata con l’intento di riproporre segmenti di vite altrui quali possibili recuperi di identificazione personale. Così come le stampe e le fotografie di paesaggio appese alle pareti di casa potrebbero decorare qualsiasi am-biente medio borghese. L’operazione di Bravi è quindi fra le più semplici per suggerire le riflessioni sul senso stesso della fotografia quale valore personale. |