La Prealpina - Cultura e Spettacoli - Venerdì 2 Giugno 2000. Paesaggi di vita e di morte visti con gli occhi di Giannetto Bravi l’uomo che “scoprì” il Vesuvio di Ettore Ceriani

E’ un momento particolare per Giannetto Bravi, uno degli artisti più singolari del panorama varesino, ma anche uno dei più impegnati e ricchi di spessore umano. Un dato che non guasta in un autore la cui espressività, certo non faci-le da intendersi per le composite valenze che raccoglie oltre l’apparente semplicità delle immagini, è sempre sottilmente legata alla memoria, a qualcosa che tutti ci portiamo appresso, più o meno consapevolmente, che si intrufola magmaticamente nella nostra vita, che condiziona nascostamente il presente. Cosa sarebbe un uomo senza memoria? L’uomo è come una pianta, osserva un noto filosofo, che vive nel presente ma ha le radici che affondano nel passato, l’humus nel quale si è sviluppato il seme originario. Potrebbe mai vivere una pianta senza radici?
Due mostre e un libro in poco tempo, il tutto realizzato con quel garbo, quell’ironia, quella sottile capacità di giocare con gli avvenimenti che contraddistinguono la sua fertile e ingegnosa creatività. Ha in corso una esposizione a Bergamo, presso la Galleria Vanna Casati, raccolta sotto il titolo di “Douce France” che rammenta una nota canzone in voga alcuni decenni or sono e cantata, se non andiamo errati, dalla calda voce di Charles Trenet. Già questo introduce un’atmosfera di forti connotazioni sentimentali. Si tratta di una serie di foto recuperate con la consueta ed amorevole perizia dalla dimenticanza dei più. Cartoline integrate da frasi ad effetto, stampate od aggiunte a mano, che gli innamorati solevano scambiarsi agli inizi del secolo che se ne sta andando. Sguardi languidi, pose di circostanza, frasi ad effetto, vestiti fin troppo leccati, cuori e fiori dappertutto. Tanto artificio ed ostentazione da farli sembrare fuori dal tempo, assolutamente “demodé”. Giannetto le riscopre, le isola, le enfatizza sulla tela in un meticoloso lavoro di trasporto che ne intensifica la qualità, trasformandole in immagini emblematiche, assolute. Offre loro nuove circostanze di visibilità, cercando di farle rivivere per quello che hanno rappresentato, senza manomissioni di sorta, limitandosi a rivalutare quanto l’incedere del tempo e l’incuria degli uomini avevano sepolto.
A Villa Pomini di Castellanza, curata da Fabrizio Rovesti e con una introduzio-ne di Roberto Borghi, è stata invece inaugurata una composita retrospettiva della sua ormai lunga e coerente ricerca, nata e continuata sotto il segno della terra che per primo lo ha accolto, che con il suo paesaggio, i suoi colori, la sua arguta vitalità ha fatto emergere la sua limpida vena ispirativa e che ogni tanto riaffiora, con afflati nostalgici, fra le pieghe del suo lavoro. “Vesuvio, paesaggio di vita e di morte” è il titolo che riassume la mostra castellanzese, incentrata su una selezione di opere datate dal 1972 al 1990. E’ una rassegna lineare e pulita, bella da vedere anche sotto il profilo prettamente pittorico e compositivo, dalla quale affiora una napoletanità sinceramente vissuta e stimolante. Il vulcano partenopeo segna fortemente il suo modo di intendere e fare arte, quando ancora era agli inizi e stava cercando un personale modo di esprimersi. Le prime esposizioni risalgono al 1967. Nel ’72 il critico Pierre Restany lancia l’”Operazione Vesuvio”. Napoli è soggetta all’ennesimo tentativo di speculazione edilizia ed i territori ai piedi del Vesuvio rischiano di essere irreparabilmente compromessi. Restany propone agli operatori d’arte di impadronirsi simbolicamente del vulcano per trasformarlo in un “parco culturale internazionale” aperto agli artisti di tutto il mondo. Bravi risponde da par suo, inventando una operazione che durerà a lungo. Probabilmente ancora oggi, considerata la sua insistenza operativa sull’immagine del Vesuvio. Propone l’”invaligiamento del Vesuvio come rimando nel tempo di fossile materico e preservazione del cono”. Il numero delle valigie va dall’uno all’infinito. Seguo-no stampe fotografiche su carta “Fabriano”, metallizzate in oro e argento, quasi a voler isolare nella purezza e rafforzare nel metallo le immagini proposte. L’iniziativa continua poi con l’invio di cartoline postali della montagna con indicato il luogo preciso in cui il destinatario deve prelevare un frammento di Vesuvio da riportare sul luogo in tempi migliori, una volta terminata la speculazione edilizia, per ricostruire il cono vulcanico. Infine, quando Bravi si sposta a Saronno, il Vesuvio si trasforma in un paesaggio della memoria, assumendo la dimensione struggente della lontananza. Ma nella sua prima mostra a Milano, alla Galleria Eros (’74), emblematicamente intitolata “Il primo amore non si scorda mai”, il nostro rilascia ancora cartoline con il timbro del Vesuvio e in “Frammenti” dello stesso anno, come sottolinea scrupolosamente Rovesti, 42 cartoline con il medesimo soggetto (ovviamente il Vesuvio) vengono montate, increspate, in modo seriale, fungendo da sfondo ai cocci di un piatto ricordo di Napoli. La montagna partenopea rimarrà nell’opera di Bravi anche negli anni a seguire, come una traccia indelebile della sua ricerca, un saldo ancoraggio della sua poetica, che, tra rimandi naturalistici, tende ad assumere connota-zioni romantiche. Non a caso la mostra a Villa Pomini si conclude con “Paesaggio napoletano”, un gruppo di sei cartoline montate su altrettanti steli. Siamo ormai nel paesaggio costruito e l’assemblaggio in sequenze di una medesima immagine convenzionale, riconducibile ad una esperienza comune, tende attraverso la persistenza evocativa ad uscire dal dato stretto della realtà, assunta a simbolo, per trasformarsi in cadenzata composizione di valenza astratta, a volte angosciosamente calma, altre volte impassibilmente pressante ed inquie-ta. Il particolare analitico della rappresentazione si fonde così nell’insieme ed entra in rapporto dialettico con il sentimento che lo circostanzia, originando una duplice valenza di tempi: di narrazione e di sospensione, di continuità e di frammentazione. L’arsenale iconografico che Giannetto presenta è basso, quotidiano, di pretta assunzione popolare e si rivela, sotto lo sguardo insi-stito, non tanto come un’immagine offerta dall’artista, non tanto come il reale oggetto della sua opera, ma come un canale, una porta mentale che, attraversata, avvia altrove, ad una specie di riconoscimento in chiave personale delle primigenie radici. Un recupero ed un distinguo di identità nella caoticità funzionale del mondo. L’abbondanza degli oggetti rapidamente sospinti verso il logoramento ed il disuso, la moltiplicazione delle specializzazioni e delle funzioni contigue, l’affollamento di immagini e segnali somiglianti, coinvolgono l’arte (e l’artista) nella compresenza caotica dei linguaggi, inclusi quelli visivi, attraverso i quali il mondo parla e comunica, accentuando la loro corsa verso il disuso, verso la trasformazione in rifiuti o scarti. L’intervento di Bravi sta nel forzare il caos dei linguaggi, adottandone uno comune ai più, recuperando e ristrutturando nel contempo, attraverso una diversa riproposizione, gli oggetti indeboliti (disusati, svuotati, scartati) sino a trasformarli in oggetti forti che esorcizzano la caduta del simbolo (e di tutto quanto vi sta dietro) che si usura, si consuma facilmente, decadendo fino all’orlo della scomparizione o della consuetudine. Quando l’artista se ne impossessa, gli ridà possibilità comunicative, lo rafforza nel suo significato originario, lo recupera alla sua primitiva nozione, esaltandone l’incidenza a livello personale e la persistenza nel sentimento comune. Per arrivare a ciò occorre però possedere una nitida percezione nel senso popolare, la capacità di percepire il soggetto in tutta la sua rappresentatività, una cristallina onestà intellettuale nel riproporlo nella sua più elementare potenzialità. Caratteristiche che Bravi puntualmente possiede ed onora con le sue opere.
Ed infine, il libro. Lo scorso 10 Maggio, presso la libreria “Art Book” di Milano, Bravi ha presentato il libro d’artista “Capri – in 70 paesaggi ripetuti”. Il volu-me, in sette copie firmate in tutte le pagine più una copia di autore, è edito da Pulcino Elefante, consta di 146 pagine in cartoncino speciale ed è costituito da 420 cartoline con 70 soggetti diversi. Giannetto non è nuovo a fatiche del genere. In passato ne ha già pubblicati altri: “The Vesuvio into my heart”, esemplare unico (’84); “My life. It is not possible to read”, esemplare unico (’94); “Apriscatole”, in 6 esemplari (’96); “Il cinema del barbiere” in 30 esemplari (’97); “Operazione Vesuvio”, in 29 esemplari (’98). Quest’ultimo però per dimensione, impegno di scelte e di costruzione appare come qualcosa di esclusivo, tanto che una copia è già stata prontamente prenotata da un museo ungherese, lo “Szent Istvàn Kiràly Muzeum Szèkesfehèrbàr”. Con queste pubblicazioni l’artista sembra voler ritornare al primo periodo della storia del libro, quando ogni volume, per quanto ripetuto, era in pratica un esemplare unico, un grande sforzo formale e di pensiero. La parola “libro” indica inoltre la parte interna della corteccia delle piante (liber) che, disseccata, serviva agli antichi come primitiva materia scrittoria. Ed il viaggio che Bravi compie all’interno dell’isola, attraverso un lavoro analitico di selezione delle immagini, sembra riproporre, sotto la finzione di luoghi codificati ed ormai consolidati alla fama, un percorso a ritroso nel tempo. Un percorso interiore, che va oltre la realtà specifica di ogni singola immagine, che sa ammantarsi di un vissuto personale. Dietro ogni cartolina c’è infatti una storia, un accadimento, la vivacità della gente, una situazione emblematica, un momento infinitesimale della propria esistenza che si aggrappa disperatamente al ricordo.
In quest’ultima pubblicazione Bravi ritorna al mito di Capri che ha segnato la sua gioventù, “… un mondo irreale: sembra di stare su uno scoglio, il che dà un senso di isolamento e di lievitazione “. La selezione delle cartoline è rigorosa, quasi una revisione genetica per arrivare all’immagine ideale, perfetta, so-spesa in una stasi enigmatica, a volte addirittura metafisica. Nell’immaginario collettivo Capri continua a essere qualcosa di fruibile, di codificato, da consumare in fretta, come in un rito profano. Per Bravi è un’operazione mentale, più complessa, dai numerevoli risvolti speculativi che richiama la consapevolezza di ciascuno, nel ritrovamento di un’antica radice, all’essenza stessa della vita. Così, un altro frammento si è aggiunto alla grande valigia del cuore che Giannetto si porta appresso.