2000 - Varese Web - Arte - Le mostre a Varese e provincia - “Icone di un paesaggio visuale” di Antonio Maria Pecchini

Può sembrare una sorta di antologia il percorso messo in mostra da Giannetto Bravi a Villa Pomini di Castellanza dal 25/05. O forse è solo un frammento di una esperienza visiva. Di certo è un tema caro all’autore. Il titolo stesso, con la sua lunga durata temporale enuncia il forte humus che pregna tutta la sua intima condizione esistenziale e mostra le sue radici storiche, il suo territorio d’indagine, l’appartenenza.
Soltanto così è possibile leggere l’apparente “ossessione” vesuviana, la sua lunghezza temporale che data quasi vent’anni. Così, cartoline assemblate l’una all’altra, di uno stesso soggetto, cartoline ingrandite come tele, supporti di carte da parati con immagini oleografiche della realtà napoletana, frammenti di terra vulcanica imbustati, attrezzi mappe e dell’area geografica indagata, foto d’amici, di se stesso, di altri frammenti vesuviani, oppure una valigia cartonata …, tutto concorre a costruire una memoria, tutto partecipa alla definizione di un’appartenenza.
Una simile operazione, analoga alla pittura ma non pittura nel senso vero e proprio, ha comunque qualcosa con le dinamiche dell’arte. Ma come si colloca nel contesto pittorico?
Un aspetto fa sottilmente capolino tra la ripetitività delle immagini, non è solo in ragione di dinamiche folkloristiche, tantomeno per il gusto del casereccio o del kitsch delle visioni comuni, ordinarie, è la memoria di un patrimonio iconografico condiviso da molti perché pieno di sentimenti e con quel distacco affettivo utile a decantare un suo preciso significato.
Così le immagini diventano delle post-immagini, diventano memoria e ricordanza, sono la documentazione iconica di tutto quel processo di sedimentazione, di quel cammino di racconto lungo un ventennio e nel loro essere evocative si fanno citazioni di luoghi reali, fisici e di un tempo rimasto senza tempo.
Con meticolosità Bravi raccoglie cartoline-immagini, o foto spedite da quei luoghi quasi volesse farne un inventario, una sedimentazione storica di cui gli oggetti stessi ne sono il senso e il significato, (in tal senso la ricerca di Bravi è lontana da aspetti pittorici apparentati alla Pop-Art ed è più consono a tensioni e ricerche d’ambito concettuale). E nell’assemblare cartoline con lo stesso soggetto, con garbo e autoironia le nomina “paesaggi ripetuti” o come nella serie pompeiana “calco del cane, e la casa dei cervi, di Venere e di morte …”, e la novità ha la paziente ed accurata scelta di un atto di simulazione dove il passato si fa realtà ma differisce da essa per quel suo venir ridotta a quadro, per quel suo essere un “falso” nell’atto della sua riproduzione, nell’atto della sua riproposizione in immagine.
Apparentemente giocosa, apparentemente semplice la storia pittorica di Bravi si fa nient’affatto semplice, si fa qualitativa e profonda. In ragione della capacità di scarto che l’immagine, così ricomposta ci dà, e gioca tutta la sua storia pittorica; poiché è sulla qualità, su quel qualcosa che sta al di là dell’apparenza, dell’abituale, del familiare che si compone il fatto pittorico-estetico.
Sottratto il tempo. Bloccato il suo sviluppo temporale, la metamorfosi che si produce attraverso il paesaggio si fa storia, diventa l’icona, l’archetipo di una nostalgia. Un personalissimo modo d’amare l’esistenza.