Vesuvio Paesaggio di vita e di morte in ventisette paesaggi ripetuti, Es. 7 più 1/PA Ed. Pulcino Elefante, 2000 (Presentazione di Alberto Brambilla)

Caro Giannetto,
ricordi l’ultima mia lettera? Allora mi chiedevo e ti chiedevo perché mai Walter Benjamin avesse voluto conservare nel fondo della borsa da viaggio, poi ritrovata per caso, quasi vuota, al confine tra Spagna e Francia, quel pezzo nero di montagna. Forse voleva dimostrare per via di sineddoche che era possibile rinchiudere il Vulcano in una valigia. Insieme ai suoi ricordi e l’amore per Asja Lacis, che l’aveva stregato in quelle notti napoletane, di cui però conservava solo una fotografia. O forse aveva voluto verificare la bontà di alcune sue osservazioni, concretate ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, uscita nella rivista “Zeitschrift für Sozialforschung”, doveva essere il 1936 o il 1937. Lì aveva scritto pagine bellissime sulla fotografia - e sulla cosiddetta realtà - ricordando che grazie ad essa era ora possibile tenere in camera il golfo di Capri, o le rovine di Pompei, a nostra discrezione. In quei pochi centimetri quadrati, di carta lucida, era liofilizzata la realtà e il nostro sguardo su di essa, con tutto quello che ci portiamo dentro nei nostri occhi. E nei cuori.
Erano i capei d’oro o l’aura sparsi, così cantava Petrarca e poi giocava con le parole, suoni e grafia insieme, evocando in quel venticello divino, oltre i capelli i contorni e l’essenza stessa di Laura, hic et nunc, e la sua aura poe-tica, incoronata dal lauro. Ad altra aura pensava Walter, quell’alone sacrale, quella voce unica e irripetibile che promana da un’opera d’arte. Forse gli suggeriva questa interpretazione l’Angelus Novus, dipinto da Klee, che aveva acquistato un giorno di maggio, era il 1921, a Monaco. Guardate quei capelli, come rotoli di thorà sfilacciati o appunti di Walter, infilati lì per caso e mai più ritrovati.
Queste immagini ora si stanno come riordinando e ritrovano la loro direzione, verso le pendici ed il cratere del Vesuvio, dopo tanto tergiversare e allontanarsi, da un angolo all’altro dell’Europa. Cartoline mai spedite, viaggi mentali, gite virtuali, specchi del desiderio, eccole riunite in 27 fogli, come giri di danza su un unico tema musicale. E come per incanto, mentre le osservo, si desemantizzano e si ricompongono per via di moltiplicazione. Il vulcano, certo, il grande padre, ma poi tanti figli, degeneri. Rivedi le serie e ti sfuggirà l’oggetto, il fine. Non crateri spalancati nella notte, ma grandi fossili di gasteropode, oppure grandi occhi Ciclopi.
Viaggiare nelle stanze, nelle lunghe notti insonni, rileggendo La ginestra di Leopardi. E poi riperdersi sulle pendici del Vesuvio e cercare il varco, l’ombelico del mondo. Vedi, Giannetto, pensare troppo fa male, ma ora chiuderò il grande libro e tutto tornerà a posto, nel lucido ordine del tempo. Ma tu, se ne hai voglia, regalami ancora altre cartoline.