Il Mattino - 5 Maggio 2005 “Operazione Vesuvio con le valigie di Bravi” di Daniela Ricci

Un immaginario ricco di valori mitici e simbolici, nel tentativo di ritrovare la memoria, è quello che sicuramente intende comunicare Giannetto Bravi con le sue opere in mostra da Dina Caròla
Con questa personale intitolata “Valige per un viaggio nel passato” l’artista storicizza un periodo della sua attività riguardante principalmente gli anni 1969 – 1973, riesce a cercare i propri reperti un po’ ovunque per arrivare a scandagliare quel mondo segreto che ciascuno di noi nasconde dentro sé. Presentate le valigette in cartone pressato e serigrafato da Bravi per la cosiddetta “Operazione Vesuvio”, inventata dal critico Pierre Restany e sostenuta attivamente da Gianni Pisani. L’idea di “invaligiare” il Vesuvio asportandone progressivamente dei frammenti per destinarli a diventare dei fossili materici venne all’artista nel 1972, in un periodo di speculazione edilizia, l’ennesima, a Napoli. Un’operazione scaturita da parte dell’artista dal desiderio di pro-prietà e di contatto con la propria radice: l’artista, napoletano, inserisce i re-perti vesuviani in una valigia, permettendo così di recare con sé degli oggetti e consentendosi di eludere la distanza da essi e soprattutto da ciò che rappresentano.
Le opere “Valigie con catene” realizzate in metallo brunito nichelato e dorato, sono, invece, accompagnate da un lavoro di moltiplicazione dell’immagine (fotografie di Mimmo Jodice), una sorta di istruzioni per l’uso già presentate sia alla galleria “Il centro” di Dina Caròla che a Milano, nella galleria “Apollinarie”, nel 1971. Ciò che conta, per Bravi, non è la cosa in sé, ma la sua proiezione mentale nel tentativo utopistico d’impossessarsi della dimensione temporale più che quella spaziale. “Tutti abbiamo delle catene nella vita da cui non possiamo liberarci. Io così con le mie catene da trasportare in viaggio riesco a portarle sempre con me”. Bravi riesce ad affrontare l’universo visibile pronto ad incatenare definitivamente i ricordi per renderli alla fine eterni. Una cartolina, poi, ingigantita, appesa al centro dell’elegante spazio, diventa la memoria fossilizzata della parola tradotta in uno scritto che viene bloccato come verità assoluta, la stessa che gli crea ansia di vivere con il suo sensibile bisogno di far parte di una storia, di un territorio, di una condizione di cui essere fino in fondo partecipe.