Viaggiatore del terzo
millennio A cosa pensavano i viaggiatori che percorrevano da nord a sud l’Europa, a bordo di carrozze e diligenze, più o meno comode? Cosa cercavano i primi turisti, ricchi studenti sfaccendati, nobili ed aristocratici che facevano come la spola da ovest ad est del vecchio continente? Nei loro pellegrinaggi laici non cercavano più la reliquia di San Martino, la mano benedicente della Vergine di Pompei, la calda protezione di Pietro, la benedizione di San Giacomo. No, aspiravano ad altro. Fosse il grand o il petit Tour quello che si accingevano a fare, era soprattutto la luce tersa che agognavano ed il caldo ed il cielo senza nuvole del sud. Opera d’arte il paesaggio, modellato e costruito dal tempo e dalla fatica dell’uomo, opere d’arte le città, ancora chiuse nelle loro mura, che custodivano chiese e palazzi, al cui interno erano depositati tesori raccolti da millenni. Non era ancora la sindrome di Stendhal, ma quella vertigine che a volte, improvvisa, li avvolgeva fino a strozzare il respiro e ad annebbiare la vista era certo qualcosa di simile. Lo sguardo non riusciva a sostenere tali e tante bellezze che come sciame d’api avvolgevano il capo, producendo un insopportabile ronzio alle orecchie, e poi era il vuoto, la vertigine che succhiava la conoscenza. Ma era tuttavia impossibile mantenere la distanza, impossibile non saziarsi a sì lauta mensa. E il viaggio pareva non avere fine. Dopo Pisa, Firenze, Roma, Napoli e giù fino a Palermo, con diverse e tentacolari tenta-zioni verso altre cittadine, che racchiudevano altrettante gioie nei forzieri. E poi il percorso all’inverso, per un ritorno che si cercava in ogni modo di prorogare, perché c’era ancora il mondo da osservare, sotto i cieli d’Italia, o di Spagna, o di Francia. La retina era sottoposta a sforzi intollerabili ed anche la memoria aveva bisogno d’appigli, appunti, frammenti di diario, impressioni spesso rovesciate in lettere vergate di fretta, tra un viaggio e l’altro, al lume di candela, sui tavolacci delle locande ancora impregnati di vino e ragù. Era un’esperienza memorabile, appunto. E dunque occorreva in ogni modo allontanare la pallida dea della dimenticanza, vincere la fatica dell’immagazzinare e depositare nel granaio della memoria. Negli spostamenti, c’era per fortuna il paesaggio ad accompagnare il passeggero, ad accarezzargli lo sguardo, all’ombra fre-sca delle colline, oppure al profumo tonificante della salsedine che saliva dal mare. Ma c’era comunque troppo da osservare, da ricordare, da annotare, da disegnare, se si aveva polso fermo e mano mobile e senza nervi. Quando la nebbia avrebbe avvolto a Londra o ad Amsterdam il facoltoso avvocato o il medico affermato, davanti al caminetto sarebbe stato bello ricordare quei giorni meravigliosi, mentre i cani dormivano al calduccio e la cuoca preparava la cena. (Ma ora, qui, in questa pinacoteca del Palazzo d’Urbino, in un pomeriggio caldo e luminoso, quale preda catturare, quale quadro scegliere, quale particolare selezionare?) Sia benedetta e santificata Madonna Fotografia, che catturando e ingannando la luce era in grado di riprodurre la realtà! Allora tutto sarebbe stato più facile, e le vestigia e le mirabili architetture, e le opere d’arte tutte, i quadri, le sculture, gli argenti, i paramenti, le pietre dure… ogni cosa sarebbe stato possibile riprodurre, persino nei particolari. Meravigliose duplicazioni a ridotta dimensione, ma a tiratura illimitata: si sarebbero accumulate nelle valigie e poi sparse nelle ville aristocratiche e poi nelle più modeste magioni borghesi, e infine nelle abitazioni degli impiegati e persino nelle case umide e strette d’operai. Adesso le puoi ammirare nelle birrerie di Stoccolma; puoi rigirarti tra le mani un Leonardo formato cartolina, ma è lo stesso che vendono alla sta-zione di Zurigo, all’aeroporto di New York, all’internet@café di Pechino, pro-vare per credere. Forza della democrazia, del progresso economico che migliora le esistenze! Ma poi irrompono le masse come appiccicosa marmellata, si va verso i tempi moderni anzi modernissimi; a quell’omogenizzazione di esperienze palatali-gustative e visive certo, s’intende, che rendono ogni cosa disperatamente uguale, appunto vita in cartolina, déjà vu. Caduta d’aureola, certo, direbbe Walter, nell’epoca in cui tutto è riproducibile e niente è indivi-duale. Perdita di identità, secondo alcuni; inevitabile legge e forza inarrestabile dell’economia, secondo altri. E dunque un mondo migliore, quasi perfetto, nella mente e nella mano, basta un lieve movimento del mouse. Viaggiatore del terzo millennio, come disceso da un’ altra galassia, Giannetto Bravi continua il suo percorso, su strade polverose e vecchie diligenze. E da decenni prosegue con rigoroso ed imperterrito metodo, a raccogliere e a classificare, alla stessa maniera di Lord Blake o di Van Loos o di Karl Loewe. E poi Giannetto, da buon cinese, anzi, da napoletano verace ha imparato a clonare. Non solo gli spazi malinconici, e poetici di un tempo, vecchi locali di barberia, cinema degli anni quaranta o cinquanta, pieni di fumo e brillantina… Giannetto si è nu poco allargato, ed è diventato attore e regista di un vero programma (digitale!) su supporto cartaceo: enciclopedia dell’arte in cartolina? Camera delle meraviglie, Museo dei Musei, Arca di Noè dell’esperienza artistica, Canone percettivo, chissà… Performance, gesto dimostrativo ad alto tasso simbolico? Nostalgia del passato? Nulla di tutto questo, anzi. Piuttosto un piccolo grande esperimento nel laboratorio sotto casa. Sottoponendo le stanche e lise icone ad un processo forzato di collisione riproduttiva, è come se ne fosse alterata la sequenza del DNA estetico, con sorprendenti esiti. Rigeneranti, paradossalmente. La clo-nazione impazza e poi precipita in una sorta di frullatore, da cui scaturiscono nuove ed inedite esperienze ottiche. Sei Leonardi sei, insomma, possono costruire un paesaggio desertico, o altro, a seconda degli imponderabili esiti. Ma all’ombra rassicurante delle cornici i medesimi processi investono i Raffaello, i Giorgione, i Tiziano, i Rembrandt… Moltiplicazioni e impatti e intersezioni rivelano dimensioni… In queste sale adeguatamente prestigiose, dunque, non si celebra solo un ironico omaggio, nel tempo e nello spazio, al Genio della Pittura. Qui si crea-no inediti linguaggi, insospettabili esperienze visive per il terzo o il quarto millennio. Alberto Brambilla |