Giannetto, non vorrei… Non saprei dire con certezza - e forse nemmeno vorrei - se Giannetto Bravi sia davvero dominato e travolto da una passione o se invece domina coscien-temente la sua smodata brama d’immagini. Nessuna raccolta, nessuna collezione - neppure quella del più vasto o del più antico dei Musei - potrebbe pretendere di accostarsi, anche lontanamente, all’estensione di questa sua Pinacoteca delle Pinacoteche (ovvero Pinaco-teca all’ennesima potenza): la raccolta (moltiplicata serialmente) di tutte le immagini d’arte possibili! Non vorrei scadere nel facile determinismo (né tantomeno posso farlo come tardo bastardo, a mia volta, di pura razza partenopea), ma certo in questa sua ossessione del catalogo e del possesso - esercitato, in esemplare parsimoniosità d’intellettuale, unicamente grazie allo sguardo - io trovo quasi una necessità di vita, una bramosità fisiologica, una fame avita preziosamente distillata nelle scorribande giovanili degli eterni pomeriggi di Capodimonte. Tu mi sembri, insomma, sinceramente governato da un desiderio di far vedere (scegliendo, replicando, demitizzando e rovesciando il senso comune delle cose) e di catturare forme e sguardi, simile all’istinto d’un ragno o d’una bestia da preda. O forse sei surreale come uno di quegl’insetti tutt’occhi che esauri-scono nel meccanismo della visione tutte le loro potenzialità fisiologiche? Chi era più? - ah già, Virginia Woolf - che li metteva in relazione (parlando, vedi poi, d’una mostra di quel mostro di Sickert) con la sensazione che si prova entrando in una pinacoteca: «(…) i pittori sono influenzati dal loro luogo di nascita, che sia nell’azzurro Sud o nel grigio Nord; (…) i politici e gli uomini d’affari sono ciechi, poiché le giornate spese negli uffici atrofizzano gli occhi; all’opposto di quegli insetti che si dice vivano ancora nelle secolari foreste sudamericane che hanno la vista tanto sviluppata che sono tutt’occhi e il loro corpo è solo un lembo di pelle che tiene semplicemente insieme le due grandi camere visive. (…) Anche noi eravamo un tempo insetti come quelli, ha chiesto uno degli ospiti, tutt’occhi? Conserviamo ancora la capacità di bere, di cibarci, insomma, di diventare il colore che è racchiuso dentro di noi in attesa delle condizioni giuste per svilupparsi? Perché, come le rocce nascondono i fossili, noi nascondiamo tigri, babbuini e, forse, insetti, sotto i cappotti e i cappelli. Entrando per la prima volta in una pinacoteca, che per tranquillità, colore e isolamento dai pericoli della strada riproduce le condizioni delle fo-reste secolari, ci sembra spesso di ritornare allo stadio di insetti della nostra lunga vita.» Entrando per la prima volta in una pinacoteca… Non so se sia questa la sensazione che Giannetto ci vuole restituire con questa sua installazione. Il suo, sapete, è un fare ironico, elusivo, ma pur sempre ultimativo. Non vorrei dirlo, ma il suo sorriso tutt’occhi, dietro le lenti spesse degli occhia-li, mi riporta alla sensazione un poco perversa, ineludibile e struggente che sempre mi prende quando visito un Museo che amo: che sia, cioè, l’ultima occasione per entrarci, per vedere una volta ancora molti di quei quadri… Giorgio Zanchetti |