Giannetto
Bravi. Un museo domestico Per un breve momento da artista Giannetto Bravi si è trasformato in collezio-nista. Con il desiderio e la voracità di un bambino che accumula figurine, Giannetto ha cercato, raccolto e a suo modo catalogato centinaia di immagini dei tanti capolavori che affollano i musei di tutto il mondo. Non immagini qualsiasi, ma le cartoline-souvenir, quelle che si vendono nei bookshop e che raffigurano, appunto, le opere degli artisti di tutti i tempi. Ma non basta. Ha poi preso quei rettangoli di cartoncino e non li ha attaccati su un album, come ci si potrebbe aspettare, non li ha nemmeno chiusi in un cassetto, li ha ordinatamente raggruppati in cornici, allineati come le carte di un solitario, ricreando una sorta di museo domestico: accessibile, raggiungibile e assortito. Sembrerebbe un gioco, e in parte lo è, anche solo per quell’aspetto ironico che l’accompagna, ma al di là di quel semplice desiderio di fare proprie delle riproduzioni seriali e stereotipate, di illudersi di possedere lo scibile dell’arte in un mazzo di carte, l’operazione di Giannetto è concettualmente molto più complessa e articolata. Vediamola. Il museo che Giannetto Bravi ricrea è, in realtà, un luogo virtuale, dove tutte le opere hanno prima di tutto perso la loro grandezza originaria per adattarsi alle misure standard delle cartoline e poi hanno dimenticato la diversità della materia, accontentandosi di un’anima di carta e di una bidimensionalità cronica. E’ come se la storia dell’arte fosse stata riscritta non più secondo i tradizionali criteri cronologici o filologici, bensì per affinità di centimetri (10 x 15). Le diversità tecnica e stilistiche dei vari periodi, le peculiarità di cia-scun artista e il fascino segreto delle loro pennellate sono stati completamene eliminati a favore di un’idea, di una foto-ricordo che diventa incredibilmente più pregnante dell’originale. L’Adorazione dei magi di Gentile da Fabriano, la Tempesta del Giorgione, i ritratti del Lotto non sono più dei dipinti, ma delle icone di un mondo che si è ormai abituato a conoscere la realtà attraverso la rappresentazione: la guerra la si vede sul video e sui giornali, l’attore lo si ammira sullo schermo, le città e i luoghi geografici si esplorano sulle fotografie e sulle cartoline, i safari sono spedizioni fotografiche, l’arte la si studia sui libri, come se la grandezza di una pala del Bellini fosse del tutto secondaria, come se toccare il marmo dell’Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia (un blocco di 244 cm di lunghezza, 88 cm di altezza e 66,5 cm di profondità) fosse un dettaglio del tutto trascurabile, come se lo spessore delle pennellate di Van Gogh fosse solo una leggenda metropolitana. Eppure, davanti a quell’interminabile carrellata di dipinti, come davanti alle fotografie dell’album di famiglia, non è difficile farsi prendere dalla commo-zione: sono memorie che ci appartengono, sono frammenti della nostra storia, testimonianze della nostra cultura. Remo Bianco lo avrebbe chiamato “museo dell’osservazione”, annotazioni di un diario che diventa universale. E Giannetto, di questo museo immaginario e surreale, si è eletto custode (con tanto di divisa), ironico guardiano di un mondo di magici e profetici tarocchi, che come quelli del Bembo ci incantano per quella forza divinatoria del loro spirito, anche se chiusi nell’incantesimo di un piccolo rettangolo di carta stampata. Lorella Giudici |