Il presente perpetuo C’è un’immagine che mostra un personaggio seduto in una stanza con alle spalle una parete occupata da decine e decine di quadri, uno accanto all’altro senza soluzione di continuità. Il protagonista osserva quel che gli succede attorno e sembra indugiare con sguardo attento e marziale, nella ricerca di un altro sguardo, quello di un visitatore all’interno della stessa stanza. E’ acuto e silenzioso, non si avvicina e non si allontana, ma dimora semplicemente lì. Si può immaginarlo indaffarato ad aggiustarsi, ogni qual tanto, la sua linda divisa blu notte e giustapporsi con delicatezza il cappello dello stesso colore della sua livrea. E’ severo ed elegante. Sopra entrambi gli indumenti si legge una piccola scritta bianca. Custode. E’ una scritta di responsabilità, custode1 , e lui lo sa, come ben si nota dal suo portamento magistrale ed orgoglioso. Il custode, svolge un mestiere prezioso e miracoloso, non esegue solo un compito con determinatezza ed efficacia, ma porta sulle spalle l’impegno del preservare e dell’accudire. E’ un protettore. Soprattutto in questo caso, in cui l’oggetto custodito è l’immagine e il racconto della storia o, per meglio dire, sono le immagini e i racconti del sottosistema della Storia dell’Arte, che il cu-stode stesso ha scelto per beatificarsi nella sua eterna dimoranza. Ma cos’è un custode? E perché Giannetto Bravi gli dedica una parte di sé? Per trovare una risposta, che appare in ogni caso (a prescindere dal suo grado di verità) incompleta per via dell’insondabilità dell’animo umano, si può partire dal profondo bisogno che l’uomo ha di mostrare agli altri il meglio di sé, secondo un atteggiamento comune all’uomo simbolico, che espone e offre i suoi trofei o il suo bottino. L’immagine citata, lo vede assiso davanti alla quadreria (è lui il custode), è un ritratto veritiero che svela il sottile meccanismo instaurato dal collezionista-custode per raggiungere l’obiettivo della propria salvezza, mediante la pratica sociale della memoria. Quest’uomo, all’apparenza immobile, non esercita nei confronti della quadreria delle nature morte, dei paesaggi e dei paesaggi con figure, una qualche azione performativa: ci appare banalmente normale solo perché è semplicemente in fase di relazione con l’estetica dei quadri. Chi mostra, decide cosa mostrare, e decide anche di accompagnare la cosa mostrata con il suo sguardo, con il suo occhio vigile prestato al custode, che ne fa le veci. In questo caso, lo sguardo protettore del collezionista-custode coincide nell’unica figura di Giannetto Bravi, il quale assume qui le caratteristiche delle figure del collezionista, dell’uomo che mostra, e contemporaneamente dell’angelo-custode2 che mostra se stesso come guardiano della cosa mostrata. cui fu donato in copia, La quadreria del Bravi, è composta da una raccolta famelica di migliaia di cartoline3 illustrate con opere d’arte: cercate, scelte, acquisite, catalogate, numerate, ordinate, composite, incorniciate, mostrate, donate. L’autoproclamazione e l’autoistituzionalizzazione a custode di Bravi, è così una lucida forma di critica al senso del simulacro. Ma anche una sottile forma di scacco al disturbo ossessivo-compulsivo per l’ordine, i dettagli, le liste, gli schemi, le raccolte, che molte volte caratterizza l’operato del collezionista-demiurgo. Sembra così disporsi nella prospettiva, a dirla con Marc Augè, della quadreria rivista come il non–luogo del frammento e del simulacro, in una sperimentazione del presente perpetuo del prodotto4. Quello che conta non è più il singolo reperto che ti porta alla conoscenza, ma come in un grande mosaico, la tenuta dell’insieme. Sceglie così la forma della presentazione classica del museo premoderno, fa un passo indietro nella storia con un’allestimento quantitativo, che offre una visione globale delle cose, piuttosto che una reale comprensione dell’oggetto in sé. Impressiona il visitatore e si oppone con forza all’isolamento. Sulla quadreria serializzata ma non gerarchizzata, lo sguardo dello spettatore non sa dove appoggiarsi, e senza chiedere una visita guidata, vaga solitario alla ricerca di un punto fermo che non troverà mai. Si muove incuriosito tra più possibilità e occasioni di sosta, cercando di non farsi trascinare nel vuoto delle fughe che diventano pattern strutturale, motivo, traccia. Lo sguardo ippodameo del custode, conosce invece quelle vie di fuga, le perdite tra gli spazi vuoti tra i quadri, la trama ossuta della parete. E per lo sguardo del bravo custode, quell’allineamento quasi optical, telegrafico e sequenziale, è ancor più magnetico che i quadri stessi dei più significativi Maestri dell’Arte. L’ordine narrativo Giannetto Bravi, lo scova paradossalmente in quelle vie, assieme al senso profondo del perdersi e quindi il senso della sua agognata salvezza. Piccola nota finale dall’umore quotidiano. Questa storia è un po’ come quella di cui si racconta in giro, di chi ha l’attenzione di ordinare le banconote del proprio portafoglio, con le facce rivolte tutte in un’unica direzione, ben allineate, in funzione apotropaica e di buon auspicio. Buone cose. Luca Scarabelli 1Custode: secondo alcuni studiosi la parola
deriva da una radice indoeuropea il cui significato primo è difendere. |