La Repubblica – 9
febbraio 2007. Doppia Mostra - Raccolta di capolavori in cartolina.
Ricordare è selezionare, se si ricordasse tutto si sarebbe in una situazione
patologica di Mario Franco Si inaugura alle 18.30, al Museo di Capodimonte, la mostra personale di Giannetto Bravi intitolata “Museo di tutti i musei. Quadreria d’arte”. Giannetto Bravi, nato a Tripoli, ma vissuto a Napoli dal 1940 al 1974 (ora vive a Varese) appartiene a quella corrente artistica chiamata concettuale: ad indicare che accanto al lavoro figurativo vero e proprio, l’artista utilizza anche altri mezzi linguistici o filosofici, per una manipolazione semantica del messaggio estetico. E “Quadreria d’arte” si muove infatti su un percorso fondamentalmente mentale, attraversato dal gusto ossessivo dell’”opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (ed il riferimento a Benjamin è più di una citazione), utilizzando cartoline riproducenti capolavori del passato incollate in maniera da evidenziare, nella ripetizione, la natura seriale nonché l’avvenuta perdita di quell’”aura” sacrale che rendeva unica l’opera del passato. Sulla serialità e sulla ripetizione, Bravi ha lavorato da tempo, collezionando paesaggi del Vesuvio, cornici che contengono fotografie, stampe, oggetti, istantanee e vecchie cartoline. Artista dal sorriso duchampiano, Giannetto Bravi ironizza sulla nozione di Museo proponendoci il museo di tutti i musei, il museo che ogni collezionista può allestire tra le sue mura domestiche scegliendo i lavori e gli autori più graditi. Di questo museo egli si fa artefice e custode (con cappello ad hoc). Inutile dire che questa “Quadreria d’arte” si arricchisce continuamente e che l’artista stesso chiede “ad ogni visitatore di contribuire al suo crescere con nuovi soggetti”. Ma, attenzione: non bisogna pensare alle quadrerie classiche, come quella di Palazzo Pitti o come quella del Palazzo all’Accademia di Belle arti di Napoli. Il lavoro di Bravi ha più a che fare come recupero di immagini come traccia residuale del passato, sulla maniacalità feticista del possesso, tipica del collezionista, sulla scoria repertoriale da collezionare come l’entomologo colleziona e cataloga insetti e farfalle. Se proprio vogliamo trovare un precedente al lavoro di Bravi, dobbiamo rifarci alla valigie di Duchamp con le miniature dei suoi quadri. E non sarà un caso che altri lavori di Bravi hanno per oggetto proprio le valigie, contenenti catene “con cui incatenare la persona amata”. Inoltre allo spirito dada appartiene lo piazzamento o spaesamento che consiste nel trasformare le cose mutandone la funzione, qui trasformare cartoline-souvenir trasferendole su un altro supporto e soprattutto in un altro contesto. Ci sarebbe piuttosto da chiedersi cosa abbia spinto l’artista ad allontanarsi dal suo repertorio di immagini kitsch del folklore napoletano, di vedute del Vesuvio, o di manifesti pubblicitari (realizzate negli anni ’70 con Pierre Restany e che erano piaciute a Lucio Amelio) per dedicarsi a questo reliquiario di capolavori d’arte. Credo che la risposta sia da ricercare nell’opposizione tra memoria e dimenticanza. Cosa vuol dire ricordare? Vuol dire selezionare, poiché se uno ricordasse tutto sarebbe in una situazione patologica. Un grande neurofisiologo sovietico, Lùrija, aveva un paziente sul quale scrisse un saggio che si chiamava “L’uomo che non dimenticava nulla”. Un caso doloroso. La nostra civiltà dell’informazione sta facendo lo stesso. La mania di conservare tutto, di museificare tutto, di informarci su tutto, rivalutando anche l’ovvio, il brutto e l’osceno è diventata una patologia. Ed allora un artista della memoria, come Bravi, ha deciso cosa lasciare e cosa collezionare. Ovviamente secondo il suo stile, con ironia. Così la riproduzione, una fotografia che riproduce un quadro, acquista una sua propria autonomia espressiva. E anche un’indicazione per il futuro. |