Il molteplice e la sua unicità Testo a scacchiera con qualche colpo di testa,torre d’avorio in f 8, tentativo di ‘scacco matto del circo’ ad un re nudo decapitato, ed enigmatico post-titolo post-scritto (questo) per pedoni e pedine in der Zirkuskuppel, ratlos. Parafrasando il Walter Benjamin (1892-1940) de "L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica" (1936), il "Museo dei musei" di Giannetto Bravi è il museo nell’era della sua riproducibilità ed accessibilità tecnica; parafrasando il Johann Caspar Schmidt (1806-1856) de "L’unico e la sua proprietà" (1844), Bravi è l’ultimo anello di una catena di ‘citazionmontaggiazione taylor-ford-avanguardista’, che rivendica il proprio individuale diritto a smontarle le catene di montaggio! Stando tra queste due parafrasi, nelle "quadrerie" di Giannetto è avvertibile una tensione che rende accertabile più d’una polarità : quella, principalmente, tra il manuale di storia dell’arte e il motore di ricerca del web; e quelle tra opere originali ed in copia fotografica, visione immediata e mediata. Giannetto spesso ha raccolto nei bookshop dei musei visitati le riproduzio-ni in cartolina di opere ivi conservate, senza poterne e , a volte, volerne fare esperienza diretta; in questo senso il suo più che un viaggio nell’opera d’arte è l’operazione anartistica di un turista maggiormente interessato alla meta che a tutto il resto: un esperimento, si direbbe, come direbbero gli etnologi dell’endotico à la Augé, di "antropologia culturale". Il fatto è che questo "tu-rismo", così carico di tensioni, assume anche i connotati di una visiva ed involontaria forma di statistica ma non per questo meno significativa delle statistiche vere e proprie, anzi, secondo la quale l’istituzione museale è riflesso di una Storia fondata più sull’esclusione che sull’inclusione delle storie che la formano ed informano; una Storia perciò tutt’altro che maestra di vita. E la riproducibilità riprodotta e percettivamente alterata anche da una warholiana moltiplicazione del soggetto, finisce per ritornare ad essere un paradossale unicum privo di aura ma non di un’anima. Come le cartoline di un tempo, vere e proprie finestre in miniatura su un mondo da mostrare al Mondo, anche quelle raccolte da Giannetto nei musei, da strumento demodé al servizio d’una comunicazione sempre più esigente finiscono per assumere uno spessore imprevisto e in qualche modo enciclopedico; e così come le cartoline che a differenza delle lettere non si tenevano nei cassetti ma ben in vista nella propria casa o nei luoghi di lavoro, anche queste di Giannetto sollecitano, situazionisticamente, situazioni collezioni-stiche alternative. Ed Internet ? Un click troppo rapido, troppo in tempo reale per poter dar corpo ad un "museo dei musei". In un’ "iconosfera" falsamente sferica e sempre più satura ed appiattita su delle immagini povere o prive d’ immaginazione, la "controsaturazione iconografica" di Giannetto - privando la pittura della sua unicità, della sua aura, ossia della sua toccante tattilità o qualità aptica, mediante un processo fotoriproduttivo - ci fa riassaporare proprio ciò che la pura retinicità derivantene e, per giunta, sovraccaricata da una sorta di prismatica ossessività del binomio riproduzione-ripetizione, serie nella serie, aveva occultato sotto ad un surplus di stimoli deprivanti; un po’ come quando si toglie il sale in eccesso dalle vivande per riassaporarne la loro naturale e connaturata sapidità. Da "dissimulazionista" immerso nella dissimilitudine delle simulazioni e dei simulacri, Giannetto Bravi sta macluhanianamente tra il messaggio dalla camera oscura e la luce di una sala museale medianicamente mediata dal mezzo-medium fotografico di una foto scattata da qualcun altro: tra la cartolina fotografica e la riproduzione della stessa in una cartolina moltiplicata e di ‘secondo grado’, il ‘mezzo’ non coincidendo più col ‘messaggio’ misura, tra le due, una distanza, una… regio dissimilitudinis. E’ sempre necessario "museificare" per ricordare e per comunicare valori? Se non può esistere un’arte situazionista è invece possibile praticare un uso si-tuazionistico dell’arte. Sono domande e risposte come queste che Giannetto sa porre e sa dare con la sua operatività un-art. Il suo "Museo dei musei" è un implicito invito a ripensare la "museologia" (anche quella codificata da André Malraux, immaginata immaginando tra il 1935 ed il ‘57 "Il Museo Immaginario"), ovvero il senso ed il significato del museo futuro; in Italia, poi, dove si pensa solo a costruire "nuovi" musei scimmiottando quelli altrui, già vecchi, perciò, prima ancora d’essere realizzati, questo "Museo dei musei" è anche una esplicita esortazione a rinnovare la "museografia" di quelli esistenti, vetusti e/o inefficienti in fatto di ordinamento e gestione. Del resto, già ne " Il Museo dei Musei" malrauxiano si affrontavano questioni quali quelle derivanti dall’ agire di una "estetica della finzione" o da una post-baudelariana "storia dell’arte come storia del fotografabile"… Insomma, un messaggio a quanti, e sono tanti, non hanno ancora ben compreso che il museo ottocentesco bersaglio dei ready made duchampiani nel ‘900, è esso stesso un grande ready made in quanto luogo del prelievo alie-nante, decontestualizzante, rispetto agli ambiti di provenienza (chiese, collezioni private, ecc.) dei materiali in esso raccolti. Materiali spesso salvati, è vero, da sicura dispersione : ma per finire, ad esempio, in una "Brera di-spersa" e visibile col contagocce (o solo in cartolina, al bookshop…), o nelle sale chiuse per mancanza di personale addetto alla sorveglianza. Una Kunstkammer o una Wunderkammer quella di Giannetto? Evidentemente una "camera della meraviglia", limitata però a dei materiali riprodotti e non raccolti : materiali ‘artistici’ (soprattutto dipinti,raramente sculture) e ‘anartistici’ (foto di installazioni, fotografie di fotografie, ecc. ecc.). Dai quadri (i milletrecento dell’ Arciduca Leopoldo Guglielmo d’ Asburgo, governatore delle Fiandre e collezionista del XVII sec.) nel quadro (di David Teniers, pittore di corte coevo al suddetto Arciduca), alle ‘quadrerie’ non dipinte di Gian-netto Bravi : non una discendenza né una decadenza ma una variazione sul tema della ricezione del "feticismo" collezionistico; una sorta di "operazione televisiva", di prelievo a distanza di immagini, di ‘tele-visioni su tela’, su tavola e su molti altri supporti, e non solo, d’una meravigliosa e meravigliante me-diocrità. "Meraviglia" sì, ma di qual genere? Per saperlo non dovremo attendere il 7.7.2007, data in cui a Lisbona si incoroneranno le "Nuove sette meraviglie del mondo" che la Fondazione del magnate svizzero Bernard Weber, novello Filone di Bisanzio, in collaborazione con l’Unesco, ha deciso di scegliere e sponsorizzare. Come ai tempi di Erodoto, Callimaco, Sofocle ed Antipatro di Sidone, anche oggi le meraviglie sono tutte e solo opere umane; anche quelle artistiche riprodotte e moltiplicate da Bravi, ma con una differenza ri-spetto a quelle da ‘canone ellenistico’: oggi la "meraviglia" che ci meraviglia non sta più nel segno della conquista e della sopraffazione o di un progresso magnifico e progressivo, ma nelle tracce, nei ricordi individuali, nella espe-rienza diretta delle icone del passato; insomma, meraviglia non più da grand recit ma da ‘micro-storia’. Ma il "Museo dei musei" del Bravi è anche la dimostrazione che se per le strade oggi si vede poca arte, è anche perché tutti gli artisti vorrebbero finire in un museo! Anche quelli che vi entrarono come Duchamp con l’ un-art degli orinatoi spacciati ironicamente per fontane, ossia con la ‘meraviglia della tranche de vie‘, nel tentativo di ridimensionarne l’unicità (la ‘creatività extra-scientifica’ non è riducibile solo a quella artistica!); o coloro, dai "futuristi" in poi, che, molto turisticamente, invocarono l’abolizione di un simile istituto ‘passatista’… Con "appassionata incompetenza", in un suo "Discorso appassionato del non possedere quadri" risalente al 1933, Massimo Bontempelli durante un Convegno a Ca’ Dolfin dedicato al mercato dell’arte, confessava - nonostante la sua estraneità al commercio di quadri e sculture finalizzato al collezionismo - di possedere in realtà e verità moltissime ‘quadrerie’ sparse un po’ qua e un po’ là nel mondo: in un palazzo veneziano sul Canal Grande, a Padova, Firenze, Assisi, Arezzo, Pisa, Roma, Napoli, Parigi, Londra, Germania, Olanda; e tutte aperte a parenti, amici e persino agli sconosciuti… Perché "Questo è il vero possesso, senza vanità e senza vergogna (…) Qualunque altro possesso è egoista". Se il "possesso" bontempelliano passava attraverso il "fatto letterario (…) compito di osservazione generale degli atti ed eventi umani (…) sostanza di collegamento tra tutte le attività superiori dell’uomo.", in Giannetto Bravi questo "possesso" è altrettanto dotato di una sua capacità di osservazione e messa in relazione ma secondo l’ontologia di un’ operatività duchampiano-situazionista, anartistica; Giannetto al "fatto letterario" bontempelliano ha sostituito il "fatto anartistico" duchampiano; a ben guardare, una denuncia volutamente "illetterata" ed implicita ad un montante "analfabetismo di ritorno" saturato e sovralimentato da un ‘mass-visibilismo’ andato, forse, ben oltre il suo punto di non ritorno: un punto coincidente con quello di break even del saccente "saatchismo epigolatra". Sempre il Bontempelli affermava che il possesso egoista può trasformare il ‘falso’ in un rovinoso rovescio economico; preso atto che - come sostenuto dal Prof. Maurizio Marini in un Convegno romano presso l’ABI sul Rapporto n.1.2005 elaborato dal "Laboratorio sul Commercio dei Beni Artistici" per NOMISMA - " Il ‘falso’ è l’unico problema per il collezionista, essendo un feno-meno diffuso e dannoso connesso alle supervalutazioni del mercato artistico moderno ", al punto che nel post-sessantotto un Giulio Carlo Argan, l’ anti-connoisseur per antonomasia, giunse all’ aberrante conclusione hauseriana che " il possesso privato dell’arte antica è un furto " mentre non lo è affatto quello nell’ambito dell’ arte moderna e contemporanea il quale, al contrario, costituirebbe un valido agente di "dinamismo culturale ", preso atto di ciò e che in realtà le regole del "mercato dell’arte" non sono regole di mercato e forse neppure regole, che cosa ci suggeriscono le ‘riproduzioni di secondo grado’ di Bravi ? Bisognerebbe girare la domanda a chi, soprattutto in Italia, funzionari della Soprintendenza, giudici e organi di giustizia, sequestra merce di valore artistico o antropologico (anartistico) sulla base di ‘perizie di Stato’ che confondono falsità ed errore attributivo; magari sollecitando un confronto tra l’ "unicità molteplice del riproducibile" di Bravi e l’ "unicum del copiabile non riproducibile" bontempelliano, messo in enfasi, tra copy right e copy left, dalle oneste provocazioni di un "falsista e/o plagiarista" come il newyorkese Mike Bidlo, o dall’attuale domanda occidentale di "arte antica" cinese che, supe-rando l’offerta dell’autentico, ha trasformato la millenaria "cultura della copia" del Celeste Impero in una vera e propria truffa del falso e della contraffazione su vasta scala. Nella consapevolezza che comunque, nel corso del XX sec., l’ "inventario" ha superato e a tratti sopraffatto l’ "invenzione". Benjamin scambiò erroneamente il Demone novus dell’ un-art duchampiana per l’ Angelus novus presente in un dipinto dell’ artista Paul Klee; il demone ‘cita’ ed ‘accumula’ le rovine là dove l’angelo ‘ripensa’ con ‘chiarezza’ e ‘attenzione’ il passato. Giannetto Bravi è perciò un vesuviano demonio ! Maurizio Medaglia |