Il Mattino – 9 febbraio
2007. Emozioni e colori nel museo di Bravi di Vincenzo Trione Giannetto Bravi è uno strano personaggio. Sembra appartenere a un’altra epoca. E’ allegro, il suo look. Si veste come un dandy decadente. Cappotto con pelliccia sul bavero, cappello nero a forma di bombetta, pullover a collo alto con scacchi, scarpe rosse. L’eccentricità dell’abbigliamento si può ritrovare anche nelle pieghe del suo lavoro, che appare rigorosamente bizzarro: in bilico tra una notevole varietà di motivi e un forte equilibrio compositivo. Si tratta di un’avventura che si situa all’orizzonte del post-dadaismo, tra continui recuperi, discrete riprese, abili citazioni, lievi tradimenti e abili spostamento di senso. Si pensi alla vasta quadreria, esposta (“Museo di tutti i musei, Quadreria d’Arte”: l’inaugurazione oggi alle 18,30, l’apertura domani per durare fino all’11 marzo), nelle sale di Capodimonte. Un dissacrante museo del museo. Un patchwork di figurine,che si articola in tre momenti, quasi un omaggio ai generi tradizionali dell’arte. La prima stanza ospita ritratti e autoritratti. L’ultima accoglie nature morte e paesaggi. Nella stanza di passaggio, invece, sono rappresentate alcune sperimentazioni del 1975. E’ da qui che possiamo muovere, per comprendere il significato delle investigazioni di Bravi, napoletano da tempo trapiantato a Milano, protagonista, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo, di numerose esperienze d’avanguardia. Il suo itinerario si apre, nel 1967, con una personale promossa da Lucio Amelio (e presentata da Achille Bonito Oliva) che si tiene a Roma, presso la Galleria Fiamma Vigo. Prosegue, nel 1972, con l’oramai leggendaria “Operazione Vesuvio”, utopistica iniziativa ideata da Pierre Restany e da Gianni Pisani. In quell’occasione, Bravi cominciò la sua attività di catalogatore. Cartoline dapprima annotate a mano e poi invase di polvere e di altri materiali. Ancora cartoline, emblemi del turismo culturale: accatastate in paesaggi astratti, in tappeti sapientemente tramati, su libri bianchi. E anche su tele di grande formato e su alte aste. Nel corso degli anni, la collezione si è arricchita. In una fase iniziale, sono stati scelti soprattutto fotogrammi legati alla quotidianità. In seguito, anche riproduzioni di opere d’arte. Come un archeologo, sorretto da un istinto di conservazione, animato da un’ottica tassonomica, l’artista preserva tracce, accumula segni, elabora inventari, seguendo un cerimoniale ossessivo. Allestisce una caos disciplinato, che ricostruisce una storia dell’arte consapevolmente imperfetta, priva di esattezza, espressione di un gusto soggettivo. Ci troviamo dinanzi a raccolte che svelano un’assoluta mancanza di rispetto per la cronologia. Animato da un atteggiamento empatico, Bravi si sofferma esclusivamente su icone che hanno catturato la sua curiosità. All’origine dei suoi assemblaggi, vi sono lunghi viaggi in giro nei bookshop dei musei di mezzo mondo, alla ricerca di cartoline, da racchiudere in una sorta di un bazar, nel quale ogni frammento è al suo posto. Sono perlustrazioni condotte secondo modalità poetiche duchampiane. Bravi ha un profondo rispetto per la storia della pittura. Non attua rotture, né tagli. Non interviene mai. Nei suoi “ready made agevolati”, però, ottiene effetti spiazzanti. Non si limita ad assumere capolavori già fatti. Ma accosta molte cartoline dello stesso quadro, moltiplicando la matrice di partenza. Accosta tasselli a tasselli, per tradire l’aura di dipinti usati, in una sregolata partita tra codici alti e comunicazione bassa. I vari episodi sono attaccati su superfici di masonite e, infine, disposti all’interno di cornici di colori diversi. In questo modo, nascono vasti e complessi mosaici, nei quali ogni tessera è autonoma e, insieme, connessa alle tessere vicine. Sono custodie. Reliquari, che sigillano impronte, ricordi, emozioni. |