Lombardia Oggi - Domenica 10 luglio 1994 “Abbiamo tutti una famiglia napoletana”. Con queste parole il noto critico militante Pierre Restany, ci immerge “tout court” nello spirito della mostra che Giannetto Bravi ha in corso al museo Ken Damy di Brescia. Infatti, i soggetti rappresentati in prevalenza di terra partenopea, come il loro autore, “ci sembrano stranamente familiari. Dopo tutto potrebbero essere i nostri! Così come le vecchie cartoline potrebbero esserci state spedite personalmente ... Questi ricordi diventano nostri”. L’iter artistico di Bravi, da anni abitante a Cislago, ci è noto attraverso l’antologica presentata con notevole successo tre anni fa all’Associazione Artistica di Legnano: dai quadri geometrici dipinti con colori industriali per verificare le relazioni tra spazio e colore, all’operazione Vesuvio a cavallo degli anni Sessanta-Settanta che prevedeva interventi sul vulcano, (Bravi è laureato in geologia) e che, tra l’altro ha comportato l’invio di cartoline quali oggetti-simbolo di un’operazione più vasta, similmente alle valigette di ferro con lunghe catene del ‘71; e poi gli assemblages geometrici, fitti di cartoline del Vesuvio o di ritratti fotografici, le “gabbie” che intrappolano piccoli oggetti o fotografie, le gigantografie su tela. Di questo percorso artistico, che come ha scritto Angela Vettese, si svolge “su un doppio binario, quello caldo della semantica sociale e quello, freddo, dell’indagine sul linguaggio dell’arte”, la mostra di Brescia raggruppa i lavori del triennio ‘91-’93 che rimandano ad immagini fotografiche e di cartoline, sottilmente ricreate in tre filoni che occupano altrettante sale del Ken Damy, un raro esempio a livello internazionale di museo dedicato alla fotografia e alle opere di artisti che fanno uso di tecniche fotografiche. Nella serie colorita dei costumi napoletani (“i venditori di scope che mangiano i maccheroni”, “‘e cipollare”, “o mastrillo e ‘a gratta caso”, ecc.), riproduzioni di cartoline del folclore partenopeo su tele di grandi dimensioni, la creazione di Giannetto Bravi diventa gesto d’amore dell’artista verso la sua terra capace di trasformare semplici ricordi rinchiusi in un cassetto, in dilatate immagini d’arte di elevato sentimento. Vi sono poi le 50 fotografie del “la memoria riappropriata”, prese dall’album di famiglia, incorniciate e disposte sulla parete in sapienti geometrie che racchiudono affetti, momenti e luoghi dell’età giovanile dell’artista. Infine, nel tema “ritratti dei ritratti”, le fotografie incorniciate con i nomi delle persone scritti sui passe-partout (“Carlotta e Giannetto”, “Signora Mary Lathstatter e barman”, ecc.), sono riportate ingrandite su tela dando in tal modo - come scrive Restany - sacralità all’immagine e rendendola allo stesso tempo familiare. L’artista è così, “un venditore di ricordi che la nostra memoria registra facendoli divenire propri”. Fabrizio Rovesti |
1995 - Milano - Museo Ken Damy - La Memoria Riappropriata "... piccola aloia ti avevo accanto con il cuore in gola ..." Quanti potrebbero riscrivere queste dolcissime parole in calce ad una foto un poco sbiadita dal tempo, che ritrae i propri compagni di classe! Nostalgia di un passato che sedimenta i ricordi più belli? Forse. Ma l'artista Giannetto Bravi preferisce esorcizzare i rimpianti, presentando l'immagine con la scritta su una tela di 165 x 109 cm. in una mostra al Museo Ken Damy di Milano che ha per titolo "la memoria riappropriata". Recupero del passato come atto riflessivo, cosciente riesame di valori esistenziali, attraverso un percorso di immagini prese dal cassetto dei ricordi o staccate dalle pareti di casa, semplicemente incorniciate o riportate nelle loro cornici e codificate nei nomi familiari, su grandi tele Rembrant. Bravi, che ora vive a Cislago, è un noto artista dell’avanguardia napoletana degli anni Sessanta, dedito nell’ultimo periodo a quel filone creativo che fa uso della rappresentazione fotografica per un’indagine sul linguaggio dell’arte. La mostra al Ken Damy segue un percorso scandito da sezioni distinte per composizione espositiva e luogo di riappropriazione dell’immagine. Aprono questo viaggio della memoria, cinquanta fotografie in cornici standard prese dall’album di famiglia, metafora di un mosaico mancante di alquante tessere. Ne “la biologia del tempo” invece, la struttura compositiva sulla parete si definisce nel quadrato formato da 108 pezzi di due foto-tessera dell’artista giovinetto. Sono due le stampe con cornici fotografate e tre le foto cartolina rispettivamente dei temi “dal corridoio” e “dalla stanza degli ospiti”. I ritratti di “Laura Bonato”, “Rina Bonato su triciclo con sconosciuta”, “Carlotta, Angiolo, Giovanni e Giannino” ed altri ancora, con passe-partout che riportano i nomi e vecchie cornici di legno o d’argento, anch’essi fotografati, diventano immagini cariche di sacralità nelle gigantografie su tela, “referenze familiari sottoposte ad una doppia codifica visuale”. Fabrizio Rovesti |
Lombardia Oggi – Arte – Domenica 9 Gennaio 2000 Questi i “Ravioli al vapore” conditi da Giannetto Bravi I popoli si conoscono più per alcuni aspetti esteriori che per le caratteristiche che li sostanziano. Così dei cinesi abbiamo in mente immagini peculiari, come quelle riguardanti gli oggetti legati al consumo del tè o dei cibi offerti dai ristoranti tipici, ormai diffusi ovunque. Giannetto Bravi ha selezionato alcune di queste icone commerciali e le ha portate, con trasferimento fotografico, su tela, quindi, appendendole ai muri della galleria milanese Dieci.Due!, ha creato anche con l’inserimento di suppellettili, degli ambienti cineseggianti. Titolo della mostra “La mia Cina è buona da mangiare”. Sulle pareti risaltano le immagini colorate e un po’ sfocate del “Pollo fritto al limone”, delle “Cappelle di funghi con verdura saltata”, dello “Stufato d’anatra saltato con alghe”, dei “Ravioli al vapore”, illustrazioni fotografiche su sfondi rosso lacca, che al ristorante aiutano il cliente a scegliere i piatti proposti dal menù. Due raffinate installazioni, “Tè Jasmine” e “Glappa di lose”, si avvalgono, la prima, di tavolino in stile dinastico, teiera e due tazze, la seconda, di tavolino, centrino ricamato, grappa di rose e due bicchierini; entrambe sono collocate davanti a due grandi tele che riproducono i sottopiatti plastificati dei locali pubblici: un “finto” scenario orientale – come scrive nella presentazione Lorella Giudici – fatto di fiori e leggiadre fanciulle, dipinto in origine, come augurio di felicità e prosperità, da un antico maestro cinese, poi ridotto a oggetti di consumo e ora rifotografato da Bravi, “che gli ha restituito l’onore e la dignità di un luogo d’arte”. Ancora un bel ingrandimento, su tela, di un sottopiatto riccamente ornato, “L’acqua è calma tutta d’intorno” con campanule rosa e due anatre variopinte. Insomma, Bravi si appropria della iconografia commerciale della Terra del drago, attuando una operazione che conferisce all’opera ricreata l’aura del pezzo unico. Nelle installazioni, che non hanno riferimenti nella realtà, l’artista incrementa il potenziale evocativo del lavoro, esteticamente affascinante, mediante l’aggregazione di oggetti simbolo. Possiamo senz’altro parlare di “simulazione”, secondo il pensiero di Jean Baudrillard, ovvero del processo di creazione dell’immagine “simulacro” attraverso la strategia, estetica, della seduzione. Fabrizio Rovesti |
TESTIMONIANZE DI UN PERCORSO TUTTO NAPOLETANO
Diversamente dai grandi emblemi “costruiti” dall’uomo quali monumen-ti
bloccati nel tempo (le piramidi, la torre Eiffel, le Torri gemelle e così
via), il Vesuvio rappresenta il simbolo vivo, pulsante di chi attorno vi di-mora
o ne conosce il fascino. La storia del vulcano parla di periodi di quiete ed altri di fremiti anche violenti; di anni in cui la gente trascorre
una serena esistenza ai suoi piedi e di momenti nei quali il grande cono si
risveglia seminando finanche la morte. Pompei, Ercolano e Stabia sono sarcofagi che racchiudono le testimonianze del dramma avvenuto nel 79
d.C; e in molti napoletani è ancora vivo il ricordo dell’eruzione del 1944,
di tale intensità da dare forma all’attuale cratere centrale. Dal panorama dato a quello costruito e viceversa La propensione all’indagine scientifica di Bravi si fa avanti alle soglie del
suo operare artistico. Sono opere di ricerca visiva dipinte con colori indu-striali
le Verifiche presentate nella prima personale alla Galleria Fiamma
Cartoline soltanto scritte o con l’aggiunta di “reliquie” di polvere vulcanica;
quindi cartoline assemblate, come ritorno al paesaggio “costruito”. Un
paesaggio della memoria che si incrementa quando Bravi fa le valigie, quelle personali, per portarsi verso il Nord.
“Il primo amore non si scorda mai”: quale titolo migliore poteva trovare, nel ’74, per una personale a
Milano?; alla galleria Eros, invitato da Lea Vergine e ancora da Restany, con slancio romantico rilascia cartoline con il timbro del Vesuvio. Sono Ritratti dei grandi e grandi immagini Staccandosi per un momento dalla calamita vesuviana, cosa che ripeterà in
altre rassegne monotematiche, l’artista, nel 1980, coinvolge i tre critici
del dibattito appena ricordato, Dorfles, Restany e Vergine, ed altri quattro |
La Prealpina - Inserto
Lombardia Oggi - 4/2/2001 Il moto degli affetti secondo Giannetto Bravi, alla galleria Mosaico di Chiasso “Pas de Deux” Dall’artista Giannetto Bravi sono nati, tra gli altri, i cicli tematici legati all’iconografia degli affetti, dall’erotismo, del cinema così come ci sono stati tramandati dai manifesti, dalle cartoline, dalle fotografie di parecchi decenni fa. Questo patrimonio di vecchie immagini è attraversato da un filo rosso che congiunge “le coppie e genera un nuovo raggruppamento di opere, ora presentato alla galleria Mosaico di Chiasso. Bravi propone così un percorso tra differenti maniere di rappresentare “i moti degli affetti, le relazioni accennate o costruite – osserva Francesco Tedeschi nella presentazione - che segnano diversi modi di rappresentare quel mondo privato capace di svelare piccoli segreti…”. Dalla ufficialità dell’antica pittura parietale di “Pacquio Proculo e sua moglie” (ripetuta nell’assemblaggio di 77 identiche cartoline pompeiane. 1980) alle passioni cinematografiche di Nita Naldi per Rodolfo Valentino in “Notte Nuziale” (gigantografia su tela di un’immagine d’epoca. 1998), alle cartoline “Porte bonheur”, ingrandite su tela, con tanto di foto degli innamorati e di languide dichiarazioni autografe. Pezzi unici germinati da immagini “promozionali” di un sentimento universale e senza tempo, capaci di abbandonarci “fra le incertezze dell’ignoto e le tracce di una storia possibile”, come indica il titolo stesso della mostra: “Pas-de-deux”, passo (o niente) a due. Fabrizio Rovesti |
Lombardia - Oggi
domenica 20 aprile 2001 Bravi, un amore per il cinema Il Museo Pagani di Castellana apre la stagione estiva con il terzo atto di “cinema amore mio” di Giannetto Bravi, che porta nuovi contributi visivi al suo repertorio legato al mondo della celluloide. Introduce la mostra una vivace scena del film “A caccia di spie”, che vede David Niven impegnato a smascherare un complotto internazionale. Ingrandendo su tela rembrandt una vecchia pubblicità, Bravi determina – come scrive il critico Alberto Fiz - “una sorta di “trompbe l’oeil” capace di creare un senso di straniamento basato sulla relazione tra due assenze: la pittura e la fotografia. Entrambe sono evocate dall’unica presenza, l’immagine-feticcio che in questa logica trova una nuova collocazione”. Altre dieci grandi tele completano questa suggestiva galleria di personaggi fermati nelle loro azioni sul set cinematografico: dalle scene mai viste dalle nostre generazioni, come quella patetica de “La Preda” o di certi vecchi film girati negli spazi hollywoodiani, sino al volto inconfondibile di un Totò di annata. (f.r.) Cinema amore mio 3 – A Castellana, Museo d’arte moderna Pagani, via Gerenzano 70, fino al 27 maggio. Orari: giov./ven. 17-19, sab.-dom. 10-12.30 e 15-19 |
Lombardia oggi -
Domenica 23 settembre 2001 Simbolismi d’autore a Como “Simboli e simbolismi” è il leitmotiv del XXXV Festival Internazionale “Autunno musicale a Como” nel cui ambito viene proposta, nello Shed spazio nuova Ticosa, una mostra dedicata a tale tematica nell’attualità artistica. L’esposizione “Simboli e simbolismi nell’arte contemporanea – come spiega nella presentazione il critico Roberto Borghi – prende le mosse dalla constatazione di un “abbassamento” del simbolo dal livello mitico-religioso (dell’arte di fine Ottocento) a quello mass - mediale e quotidiano odierno”. Dei ventidue artisti invitati, che impiegano le tecniche e i linguaggi più vari, la maggior parte è interessata all’ambito “simbolico collettivo” originato dall’azione dei media o alla visione emblematica della propria condizione individuale; altri si ricollegano alla tradizione pittorica simbolista; tre artisti estremorientali esprimono una gestualità simbolica carica di spiritualismo. I nomi: Alberti, Belcaro, Bordoli, Bravi, Collina, Fehr, A.R. Gavazzi, M.T. Gavazzi, Gobbato, Gòmez, Hao-Kang, Mantero, Matsuyama, Min-Jung, Musa, Padovese, Piccalunga, Qi-Kai, Santambrogio, Soldini, Jabes, Valsangiacomo. Fabrizio Rovesti |
La Prealpina - 9
Settembre 01 L’erotismo di una volta alle pareti del Margarita Gallarate – L’erotismo sensuale, ma contenuto, delle immagini dei primi del Novecento è il tema della mostra “Erotic Collection” dell’artista Giannetto Bravi presentata dall’Associazione culturale “L’arte in primo piano” “Café Margarita”, in corso a Sempione. L’originale esposizione fa seguito ad altre iniziative proposte nel medesimo spazio nel quale al piacere d’un incontro con gli amici si uniscono visioni dell’arte contemporanea. Un nuovo modo di presentare l’arte che pittori e pubblico stanno dimostrando di apprezzare. Nella mostra in corso, Bravi, noto artista di origini napoletane da anni residente a Cislago, ha riportato sulla tela le immagini fotografiche ingrandite di vecchie cartoline seppiate in cui fanno bella mostra di sè sinuosi corpi femminili di un ‘epoca ormai lontana. Si tratta di un modo di procedere artistico che trasforma un’immagine di consumo in un’opera unica carica di evocazioni. Così, ad esempio, la cartolina “Nudo con bambolina” nel quadro di Bravi muta da allegra “donnina” di tempi andati in una sorta di “Maja desnuda” del secolo appena trascorso. Una tecnica suggestiva tutta da scoprire e tutta da ammirare. Fabrizio Rovesti |
I numeri della Quadreria di Bravi Giannetto Bravi si tuffa nel mare della globalizzazione. Immagini di capolavori d’ogni tempo e luogo finiscono moltiplicati nel mare magnum della sua Quadreria. Gran parte della letteratura critica sul suo percorso artistico basata sull’idea di una napoletanità pervasiva viene per il momento accantonata, mentre sembra assumere rilevanza il concetto di "maniacalità del collezionista". I numeri della proposta, che da qualche tempo a questa parte l’artista viene elaborando, sembrano parlare chiaro. Il progetto al Museo Capodimonte prevede la collocazione di 360 quadri, tra Ritratti e autoritratti e Fiori, nature morte, paesaggi e paesaggi con figure, ai quali si aggiungono lavori storici di metà anni Settanta e libri d’artista. Considerando soltanto i quadri, risulta un impiego di olte 2.000 cartoline, tenuto conto di una media ponderata di 6,2 pezzi per lavoro. Ma Bravi ha selezionato le opere tra i 2500 quadri realizzati sino al 31-5-2006 (dato ufficiale festeggiato con una cena offerta agli amici), dal che risulta, a tale data, un impiego di oltre 15.000 cartoline. Le immagini le ha raccolte negli spazi museali di mezza Europa. In alcuni casi chi scrive può dire "c’ero anch’io", ricordando come nelle ultime sale espositive l’artista, se accompagnato, suole allungare il passo per giungere prima degli altri al bookshop e fare i suoi acquisti meditati. Sembrerebbero, quindi, presenti tutti gli ingredienti di un processo d’accumulo ossessivo tipico del collezionista, in cui convivono ansie e piaceri. Ma ciò non significa che Bravi sia un collezionista. A che servirebbe possedere più cartoline con lo stesso soggetto? Il fatto è che il Nostro intende dirci altro. Vuole rivendicare - sulle pareti di una galleria, sulle pagine di un libro o di un giornale, nelle coscienze dei critici d’arte - un primato: quello dell’artista che ha investigato il ready-made "cartolina" in tutte le sue dimensioni: percettive, emozionali, linguistiche, formali, spaziali, temporali, iterative e così via. Repetita iuvant. Fabrizio Rovesti |
Lombardia Oggi – 9
settembre 2007. Cartoline da Giannetto Bravi di Fabrizio Rovesti Una storia di enorme mosaico parietale si dispiega lungo le pareti laterali e il fondo della chiesa sconsacrata di San Pietro in Atrio a Como. E’ la “Quadreria d’Arte 150 Ritratti-Autoritratti” di Giannetto Bravi, ovvero il complesso di quadri che l’artista “costruisce” con più cartoline identiche di capolavori d’arte (raccolte nei book-shop di musei e gallerie di tutta Europa) racchiuse in una larga ed elegante cornice dipinta in fresche cromie. La visione da lontano dell’installazione rimanda a un’estesa composizione musiva astratta scandita da grandi tessere policrome che a tratti evocano lo splendore delle antiche chiese bizantine: un primo impatto visivo che porta il pensiero del fruitore in altri ambiti, creando poi un cortocircuito mentale man mano che ci si avvicina alle opere, la cui specificità disorienta l’osservatore non aduso al modus operandi di Bravi. La sua polisemica proposta, solo di apparente semplicità, si presta a molteplici letture come dimostrano i testi critici di J. Anais Savoia, R. Borghi, C. Ghielmetti e B. Meneghel. La visione ravvicinata dell’installazione mostra cartoline con ritratti e autoritratti di maestri della pittura replicate in quadri allestiti in modo simile a una fitta quadreria sette-ottocentesca in cui le icone dell’arte riprodotte per un turismo culturale di massa, warholmente iterate e piacevolmente incorniciate divengono simboli di un consumo “alto”, rassicuranti punti di riferimento di un “grand tour” mordi e fuggi, che inevitabilmente perdono per strada il senso profondo e universale della loro origine. E’ lo scherzo dell’ironia che Giannetto Bravi sventola al mondo – osserva Ghielmetti -, ”sperando che il mondo intero riesca ad andare ben al di là e ben al di dentro di quello che la rappresentazione fenomenologia ci porta a considerare”. |