L’Italiano - Venerdì 17 gennaio 1997

La bottega del barbiere è sempre stata un luogo dilettevole, dedicato al puro ozio, alla fatua superficialità, con la giustificazione dell’assolvimento di un dovere estetico: quello della periodica, civile acconciatura e sfoltitura delle chiome. Ma, si sa, proprio in queste circostanze apparentemente inconsistenti, in cui il tempo che passa sembra pura perdita, si stemperano le personalità più complesse; e questo favorisce l’incontro felice con tante piccole ma determinanti occasioni di futura nostalgia.
Una volta i barbieri usavano regalare ai clienti affezionati ambitissimi calendarietti profumati con gli aromi del peccato, illustrati con le immagini del sogno maschile: le “stelline” degli anni Cinquanta hanno conosciuto la loro massima popolarità proprio su quelle pagine, che molti conservavano segretamente in una piega del portafogli per aspirarne le voluttà nei momenti di malinconia.
C’è anche chi di queste ormai quasi antiche opere d’arte popolare ha fatto saggiamente collezione, intuendone la valenza culturale che si sarebbe espressa entro un futuro di pochi decenni.
Uno dei più pazienti raccoglitori e catalogatori di reperti immaginifici di barberia è Giannetto Bravi, notissimo artista fotografo e pittore, che della sua imponente collezione ha deciso di fare opera divulgativa, elaborandone concettualmente i valori d’immagine e al tempo stesso di costume, dilatandone il potere comunicazionale in una rielaborazione autonoma e personalissima, che viene proposta a Busto Arsizio dall’11 gennaio al 1° febbraio nella galleria Aquifante, per poi essere ospitata in varie altre località italiane.
Non è la prima volta che il mondo dell’immagine viene “sedotto” dalle fotografie oleografiche e “carnose” dei calendarietti da barbiere: le abbiamo viste in molti dei “tempi” dell’arte figurativa, e abbiamo visto avvicinarsi a loro con ammirato stupore estetico colti spettatori ed insigni critici: ma la novità della mostra di Giannetto Bravi consiste nella sua scoperta tematica, certamente meno abusata e meno ricordata, ma proprio per questo più affascinante. Si tratta dei calendarietti dedicati ai divi del cinema e ai film più in voga nei lustri della grande illusione, della scoperta della libertà, del benessere e del piacere.
A rivederle oggi, quelle fotografie, come si fa a non paragonarle con la miriade di calendari patinatissimi e zeppi di top model strapagate, lussuosi ma asettici, che animano dibattiti nelle pagine centrali delle più “serie” riviste che ne promuovono il ruolo guida nella nostra concezione del “bello”?
Dal calendario Pirelli a quello Lavazza, è tutto un susseguirsi di Moniche Bellucci e Cindy Crawford, che con superba alterigia mostrano i loro corpi supermassaggiati, sui quali si percepisce il sapiente tocco di uno stuolo di art director fino all’attimo precedente lo scatto del famoso fotografo: immagini di lusso, dove nulla è lasciato al caso, e ogni angolo di pelle è studiato in funzione degli obiettivi di marketing, stabiliti da autorevoli ricerche e sondaggi.
Un lusso elevato a status symbol da biblioteca, che però poco ha a che vedere con il sano piacere degli occhi e dello spirito giocoso: non a caso, queste esercitazioni supertecnologizzate e mercantili finiscono spesso per mortificare esplicitamente il loro stesso originario scopo; come è avvenuto con l’ultimo calendario Pirelli, in cui l’esasperato ricercatore di forme femminili stupefatte, il celebre Richard Avedon, ha sciolto un’impressionante inno all’anoressia come preoccupante messaggio dell’antifemmina che forse è in lui latente.
Perché farci tutti così male, e perché investire tanti capitali e tante energie in questo sciupio artificioso e insincero? Eccoci dunque al confronto con i gusti di divulgazione estetica popolare di un tempo meno nevrotico, meno viziato, ma non per questo meno dotato sul piano artistico e culturale. Ed ecco spiegato il moto di inconscia nostalgia, di lancinante desiderio che si sviluppa al cospetto di rappresentazioni generose, come quelle esposte nella mostra di Giannetto Bravi. Guardiamo le immagini-simbolo di una Marilyn Monroe al suo splendido apice, e pure senza la minima scalfittura di alterigia; di una Brigitte Bardot acerba acqua e sapone, semplicemente consapevole della sua naturale seduttività anche in una goffa guépière; di una Anita Ekberg che riesce ad essere sontuosa dispensatrice di voluttà anche in un ridicolo costume da babbo natale e con un piede proteso all’inciampo; di una Sophia Loren quasi esordiente che non si adonta di fare il verso a Josephine Baker, tanto sa che le sue labbra sono uniche, anche se il rossetto che le disegna è di terza scelta e il fotografo non sa suggerirle una posa da vera attrice. Da queste visioni tecnicamente imperfette si produce magicamente un’atmosfera intensamente sensuale che le nuove tecniche della fotografia d’autore non sanno minimamente restituire.
Per questo diciamo grazie a Giannetto Bravi, che non ha temuto di mortificare la sua prestigiosa figura d’artista con una mostra incentrata sui calendarietti del “Cinema del barbiere”: e con questo gesto coraggioso ha dato un sorso di corroborante nostalgia ai suoi coetanei intorno alla cinquantina e una via d’uscita dal cul de sac dell’asetticità per tutti coloro che, ad ogni età, cercano nell’immagine fotografica un messaggio vitale.

Giacomo Carioti