1980
Milano
Studio Marconi
Ritratto-Autoritratto
di sette critici: G. Ballo, A.B. Oliva, A. Del Guercio, G. Dorfles, F. Menna, P. Restany, L. Vergine
Lettera a Filiberto
Menna come storia di un ritratto-autoritratto
Caro Filiberto,
nel 1973, dopo aver partecipato come uno dei fondatori della Galleria
inesistente al Risveglio del Vesuvio (1969) e dopo aver partecipato con
artisti europei all'Operazione Vesuvio stimolata da Pierre Restany con l'invaligiamento
del Vesuvio (allegato
n.1), continuavo solitario un'operazione sul Vesuvio
durata un anno, in cui utilizzavo le classiche cartoline turistiche (allegato
n.2)
che spedivo in tutto il mondo ad amici, critici e gallerie.
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Allegato
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Allegato
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Nel 1974 esponevo alla Mostra "Eros come linguaggio", a Milano,
i primi quadri in cui le cartoline, incollate una accanto all'altra,
assumevano caratteristiche diverse da quelle per cui erano nate e mi
servivano da sfondo o supporto visivo a reperti del Vesuvio stesso
(allegato n.3).
Nel 1976 le cartoline non riguardavano più soltanto il Vesuvio, ma molti
altri argomenti del nostro vivere quotidiano (allegato n.4);compariva tra
l'altro il primo ritratto non in catalogo (allegato
n.5) che si può
considerare l'antesignano degli attuali.
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Allegato
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Allegato
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Allegato
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Questi primi ritratti (poiché ritratti erano a partire dall'Operazione
Vesuvio) costituivano, però, un operare a senso unico su di un soggetto
passivo; quello che desideravo, invece, era la partecipazione attiva del
soggetto ritratto. Fu così che verso la fine del 1976 chiesi a Pierre
Restany, passeggiando in Galleria Manzoni, la sua collaborazione. Si
sviluppò, in quell'incontro principalmente, il concetto di elemento
segreto, che lui affidò a un diario epistolare di un anno; solo in un
secondo tempo gli chiesi di fornirmi una sua foto che considerasse
immagine rappresentativa di sé stesso e che io ho ridotto, come poi tutte
le altre, alle dimensioni di circa una cartolina (cm 10,2x14,4). Con
questi elementi composi quindi il mio primo ritratto-autoritratto,
utilizzando anche un panno lenci rosso su cui sono spillate le venti
lettere speditemi nell'arco di un anno (1977).
Il primo esperimento mi sembrava compiuto e ne mostrai la riproduzione
fotografica alla signora Lea Vergine che, in un certo senso, mi
commissionò subito anche il suo ritratto.
Uno scatolone che un tempo doveva contenere un capo di vestiario adesso
era colmo di foto: ricordi di famiglia, immagini della prima infanzia,
istantanee legate all'attività professionale, firme di autorevoli
fotografi, insomma un pozzo di memorie in cui poter attingere. Scegliemmo
tra queste una foto di Enzo Mari che mi colpì in modo particolare e che
già vedevo come filo conduttore del suo ritratto, poi altre tre che mi
sembravano raccontare e concludere una storia precisa.
Restava scoperto l'elemento segreto ma qui in un cassetto della grande
scrivania di lavoro era riposto un involucro dall'aspetto stanco per gli
anni che una volta aperto ci dette la soluzione che ora tu vedi riposta
sotto sigillo in bacheca.
L'idea sembrava ancora una volta funzionare e pensammo di allargare il
ritratto-autoritratto anche altri critici. Primo tra questi fu il Prof.
Gillo Dorfles che si prestò con entusiasmo. Nel silenzio ovattato del
soggiorno che si affaccia su piazza Lavater anche lui tirò fuori il suo
piccolo archivio di memorie. La scelta, salvo qualche incertezza, fu
abbastanza rapida perché il Prof. Dorfles era già orientato su
un'immagine del passato; a questa ne aggiunsi un'altra che al momento non
sapevo come avrei utilizzato, ma che comunque consideravo espressione
statica del suo procedere composto senza problemi tra pile di porcellane
cinesi. Il suo segreto più che segreto sbocciò per suo volere in un
oggetto misterioso che tu puoi osservare nella piccola bacheca di
plexiglas trasparente. Difficile a dirsi è un pinzacarte di vecchia data
fino a poco tempo fa strumento assiduo del suo lavoro. Il Prof. Dorfles
fu anche gentile nel consigliare una rosa di critici da avvicinare perché
li coinvolgessi in questo lavoro.
Purtroppo mi si ponevano a questo punto dei problemi logistici e
principalmente di conoscenza per cui preferii restringere a pochi altri
questo discorso ed in particolare a quelli che bene o male già conoscevo,
eliminando così la componente inibitoria dell'ignoto. Devo dire che a
questo punto il lavoro si trasformò in una caccia telefonica al
personaggio, alcune volte anche umiliante, come nel caso di Mario Perazzi.
Tecnica di fuga di Perazzi: (possibilità di sentirlo telefonicamente ore
8-8,15 Corriere d'Informazione).
"Pronto. Ah ciao. Va bene per te domani alle 19 al bar di fronte a
casa mia? Soltanto ritelefonami per cortesia domani mattina per una
conferma". Ore 8-8,15 dell'indomani. "Pronto. Ah ciao. Mi
dispiace, non posso, rimandiamo alla prossima settimana a casa mia.
Soltanto per cortesia telefonami la mattina per una conferma".
Risultato 15 telefonate a vuoto, escluse quelle in cui non c'era.
Delusioni anche con Tommaso Trini, ma assorbite nell'arco di un unico
incontro.
Ti chiedo scusa per questa parentesi di sfogo, ma il caso Trini consente
di spiegarti perché le mia scelte erano cadute sui critici e non sugli
amici, parenti e galleristi come avrebbe voluto lui. La risposta è
semplice. Il ritratto-autoritratto era nato con la collaborazione di Restany e veniva a mano a mano verificato con Lea Vergine e Gillo
Dorfles. Necessitavo, quindi, per il momento di altre conferme di
addetti ai lavori.
Oggi posso dire che il ritratto-autoritratto esiste ed è ovviamente
estendibile a tutti.
Fortunatamente per me, altrimenti le delusioni sarebbero state troppe,
ebbi nel frattempo l'accettazione del Prof. Ballo che, risolti in un primo
incontro tutti i dubbi del caso, mi accolse nel suo studio di via Fiori
Oscuri, accanto all'Accademia di Brera. Qui, deciso ed ormai compenetrato
nel ruolo, ripropose di suo pugno una poesia "Caso" del 1969, mi
consegnò una sua pubblicazione "Alphabet du soleil" e mi svelò
che il 7....., procuri il 7 è il mio numero magico.
Io ho rispettato questo scaramantico 7 unendo con una linea immaginaria
questi elementi fra loro formando un ulteriore 7.
Poi ci fu una mia telefonata a te con la mia richiesta
d'uso; ricordo un
po' la tua perplessità iniziale se il mio lavoro prevedeva un intervento
diretto sulla foto, cioè sulla persona fotografata e la mia risposta
negativa in quanto la memoria fotografica va rispettata nella sua
integrità. La tua necessità di riflettere ed infine il tuo suggerimento
di come inserire il tuo elemento segreto che solo un'attenta lettura
avrebbe svelato.
Poco da svelare, ovvero nessun segreto per Achille Bonito Oliva.
"Autocritico Automobile" è un correr veloce sulla pista della
razionalità. Tutt'al più come mia ha detto "La mia fotografia è lo
strappo della prima pelle del ritratto".
Ed infine il Prof. Aurelio Del Guercio è approdato ad un'immagine della
sua infanzia - unica, gelosamente custodita - che sentivo isolata in
questo ambiente estremamente dilatato.
Anche qui non c'è un segreto palese, ma piuttosto l'applicazione di un
colore che ha ridato a Del Guercio bambino la dimensione perduta. Ah
dimenticavo che quando così terminai questa mia piccola galleria avrei
aggiunto con piacere anche il ritratto-autoritratto del Prof. Giulio Carlo
Argan. Per essere completi, pertanto, ti accludo la mia lettera e la sua
risposta (allegato n.6).
Altro ed ultimo allegato: alcuni cenni bibliografici (allegato
n.7).
Grazie per avermi pazientemente letto, affettuosamente.
Giannetto
Bravi Saronno, 20
dicembre 1979
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Caro Filiberto,
ti accludo le foto, in ordine cronologico, dei sette
quadri eseguiti a voi critici. I quadri sono composti da una serie di
foto (formato cartolina) incollate su tela; le dimensioni sono di 160x160
cm. esclusi i primi tre, il cui formato è di 130x130 cm. Questo
lavoro, come d'altronde tu sai in quanto vi hai preso parte, inverte i
ruoli dell'artista e del soggetto ritratto, in quanto il primo ha sempre
operato tentando un'interpretazione del personaggio ritratto, in termini
estetici, ideologici, politici, sociali e, a parer mio, in definitiva di prevaricazione dell'individuo. In
questo caso invece si è voluto che il soggetto ritratto fosse l'artefice
dell'immagine di se stesso, possibilità che gli si è lasciata dal
momento che ha potuto frugare nella sua memoria e scegliere quale fosse
l'elemento più significativo di se stesso; contemporaneamente gli si è
lasciata anche la facoltà, sebbene non tutti l'abbiano sfruttata, di
celare sotto sigillo un'intima segreta porzione della propria personalità
di cui noi tutti siamo gelosi custodi. Allora
qual'è il mio intervento? Direi che è quello di aver messo a
disposizione il mio linguaggio estetico nella realizzazione di un ritratto
forse il primo "inter pares", forse il primo ritratto
democratico. E'
giusto, però, a questo punto che tu possa pensare che di masochisti
e sadici sono piene le fosse... evviva il sadismo che ha dato ben altri
risultati. Se, invece, mi ritieni degno di una tua presentazione, ti
ringrazio anticipatamente e resto a tua disposizione per ogni chiarimento
necessario, visto che i lavori sono affidati soltanto ad una riproduzione
fotografica. Ti
saluto affettuosamente,
Giannetto
Saronno, 10 ottobre 1979
P.S. Sono in trattative
per una mostra; ti terrò informato degli sviluppi.
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Presentazione di F.
Menna “La Coperta di Linus”
Riconosciamo la seduzione del ritratto, il fascino indiscreto che
l’immagine esercita su di noi quando ci rimanda, dall’altra parte, i
tratti del nostro volto. E ammettiamo la propensione a rilasciare al
ritratto un lasciapassare che d’abitudine non siamo molto inclini a
concedere ad altre immagini: di porsi cioè senza rimorsi concettuali
sotto il segno del Somigliante. Ci poniamo quindi una domanda indiscreta,
se non ci siano altre ragioni di questo fascino indiscreto che
l’immagine somigliante esercita sugli spettatori, anche i più
scaltriti. E’, in qualche misura, l’indiscrezione alla quale il
soggetto si sente esposto quando è preso di mira dall’obiettivo
fotografico, per cui è portato a reagire in modi diversi, di difesa
attiva o passiva. Già il mettersi in posa di fronte all’occhio
meccanico è un atteggiamento di difesa, un espediente per presentare
all’altro un’immagine più costruita, quindi più rassicurante, di sé.
Così come è una difesa la smorfia grottesca con la quale ci poniamo in
relazione con la superficie riflettente dello specchio. Forse in questo è
la ragione del fascino che esercita il ritratto, la curiosità
continuamente inappagata che esso suscita. Di qui anche l’aspetto
inquietante che ogni ritratto sembra avere, inquietante come lo specchio.
L’allarme scatta a questo punto, quando ci riconosciamo nel ritratto, e
nello specchio, ma nello stesso tempo avvertiamo che nell’immagine
riflessa appare qualcosa che non conosciamo perfettamente. Da questo punto
di vista, il ritratto può essere considerato unheimlich, perturbante, nel
senso indicato da Freud, ossia come un qualcosa che è appunto
l’antitesi di ciò che è heimlich, familiare, abituale, ma che trae la
sua origine proprio dal fatto che è un qualcosa che ci è da lungo tempo
familiare. Il Somigliante è in sostanza una maschera ed in quanto tale
rinvia a qualcosa che sta al di là dell’apparenza, ad un segreto che la
maschera in parte rivela ed in parte nasconde. La somiglianza acquista così
il significato di simbolo, nel senso originario di symbolon, la tessera
metà della quale era consegnata all’ospite, che poteva quindi essere in
parte riconosciuto ed in parte nascondersi. Ma che cosa si nasconde dietro
la maschera e dietro il ritratto?
E’ probabile che il somigliante, il doppio, il riflesso speculare, ed il
ritratto, abbiano un risvolto profondo, ci portino a uno “stadio dello
specchio” in cui tutti abbiamo vissuto la separazione dalla madre e
appreso la differenza dopo la somiglianza e l’identità. L’attrazione
singolare che il ritratto esercita sul soggetto che lo guarda è forse in
relazione proprio al fatto che esso ci presenta un’immagine che ad un
tempo appaga e delude il desiderio ; un desiderio che sospinge
continuamente a cercare nuovi segni di una cosa lungo la catena delle
sostituzioni metonimiche della (perduta) relazione primaria.
Giannetto Bravi sembra porre allo scoperto questo meccanismo. Ma prende
una scorciatoia, lasciando al soggetto ritratto il compito di inserire
nell’opera il proprio oggetto segreto e di collaborare, così, alla
realizzazione dell’opera appunto come maschera e simbolo che in parte
rivela ed in parte nasconde. Pierre Restany, Lea Vergine, Gillo Dorfles,
Guido Ballo, Achille Bonito Oliva, Antonio De Guercio, e chi scrive, hanno
tutti svelato all’autore un loro amore segreto, un dettaglio che ora sta
dentro il ritratto con il compito ambizioso di svelarne l’altra faccia.
Immagini, parole, cose alle quali ciascuno assegna un particolare valore,
oggetti transizionali come la coperta di Linus. Ma il luogo del segreto è
veramente raggiunto? O non si tratta, ancora, ed inevitabilmente, di una
maschera e di un travestimento?
E infine non possiamo non chiederci quale sia il segreto di Bravi dal
momento che egli ironicamente finge di non sapere che nella partita a due
del ritratto è il pittore che tenta di afferrare la sua coperta. |